Private debt, altro anno record per raccolta e investimenti
Nel 2024 il fundraising è salito a 1,36 miliardi, con fondi pensione e casse di previdenza in testa. Balzo dell’ammontare investito (+53%), che ha sfiorato quota 5 miliardi
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Bene ma non benissimo. Il venture capital italiano inaugura il 2024 con il piede giusto e chiude il primo trimestre con il segno più. Gli investimenti si sono infatti attestati a quota 443 milioni, in aumento del 13,9% rispetto ai 389 milioni del periodo precedente. I round, invece, sono passati da 88 a 108, segnando un nuovo record. A tracciare il bilancio è il consueto Osservatorio realizzato da Growth Capital in collaborazione con Italian Tech Alliance, che sottolinea come si tratti del quinto trimestre d’incremento consecutivo. Tutto bene, quindi? Non proprio: i numeri, secondo alcuni protagonisti del settore, sono ancora decisamente esigui, al di là delle curve di crescita.
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Nonostante l’Osservatorio sottolinei come il trimestre appena archiviato sia da giudicarsi positivo anche alla luce del trend europeo decrescente, la mid-cap investor Giovanna Voltolina fa invece notare come “questo primo quarto sia effettivamente determinato da due soli deal: Bending Spoon con 144 milioni di raccolta e MMI con 101 milioni, che da soli rappresentano ben oltre la metà della raccolta del periodo”. Segue Everli con 21 milioni, mentre appena fuori dal podio si piazza Contents con 16 milioni.
Nel resto del Vecchio Continente, invece, da gennaio a marzo sono stati investiti circa 12 miliardi di euro per un totale di 2.404 round: ne deriva, commenta l’esperta, che “la fetta di torta tricolore con i suoi 443 milioni di raccolta è parecchio ‘sottile’ (3,7% circa)”.
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Insomma, per la Voltolina c’è ben poco da essere soddisfatti: “Il nostro Paese deve fare molto di più in materia di attrazione dei capitali, neutralizzando in primis le barriere che ne impediscono l’afflusso, soprattutto l’imprevedibile mutabilità della burocrazia italiana, nazionale e locale, e l’infrastrutturazione, connessione web inclusa”, avverte. Aggiungendo che è necessario “puntare sulle pmi made in Italy, vera ricchezza inespressa, e lavorare a distretti organizzati come vere e proprie ‘valley’”.
L’esperta infatti non ha dubbi che se le piccole e medie aziende tricolori, innovative e tradizionali, potessero o volessero guardare al mercato mondiale dei capitali potrebbero davvero attrarre investimenti da tutto il mondo per finanziarsi, ammodernarsi, svilupparsi, crescere e decollare anche a livello internazionale. Un salto di qualità che per la Voltolina non si tradurrebbe nella perdita del controllo dell’azienda. “L’investitore, oltre all’apporto di risorse finanziarie, può mettere a disposizione degli imprenditori le sue conoscenze e relazioni per sostenere e accelerare i loro progetti di crescita, facendo sviluppare il business dell’azienda in maniera molto marcata e sostenibile”, conclude infatti la mid-cap investor.
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